Questa facilità rende agili anche le verifiche, ed i confronti sul medio/lungo periodo... così, giusto anche per vedere come un'opinione, pur ritenuta autorevole, possa sorprendentemente cambiare nel tempo...
Ad esempio, è facile recuperare un vecchio articolo de "La Stampa", del 28/5/1974, con un'intervista a Diego de Castro.
Per inquadrarlo: rendiamoci conto che siamo quasi alla vigilia del Trattato di Osimo.
Evidenzio le parti più interessanti e curiose:
L'ACCORDO NECESSARIO
La ventennale disputa sulla Zona B
La Stampa - 28/05/1974Il nostro collaboratore professor Diego De Castro, che fu consigliere politico italiano presso il governo militare alleato di Trieste negli anni 1952-54, commenta In questo articolo l'attuale vertenza italo-jugoslava.
Due mesi fa, su questo giornale parlai di una «nube passeggera» nei rapporti italo-jugoslavi; è spiacevole che perduri perché potrebbe avere qualche conseguenza negativa sull'amicizia tra i due popoli.
Bisogna chiudere la controversia, che è puramente diplomatica, affinché non porti danni politici o, peggio ancora, psicologici e sostanziali. A chi veda spassionatamente la situazione è chiaro che non si tratta di questioni territoriali o politiche, ma si discute soltanto per precostituirsi certe reciproche «posizioni di forza» in una discussione diplomatica di tutte le nostre pendenze con la Jugoslavia (credo una ventina).
Tanto noi quanto i nostri vicini siamo convinti che è prezioso sistemare il più presto possibile la vertenza; nei discorsi di Tito e nelle note diplomatiche, la sincera volontà d'accordarsi di ambedue le parti appare evidente.
Potrebbe essere nociva, però, una discussione che durasse troppo a lungo, perché oggi, forse, il più importante «alleato di fatto» dell'Italia è la Jugoslavia, e, della Jugoslavia, l'Italia. Non possiamo, né noi né loro, prenderci il lusso di mettere in pericolo una situazione politica soltanto per migliorare una posizione diplomatica. Non occorre spendere parole per spiegare che, del cosiddetto «dopo Tito», 10 Stato estero più direttamente interessato è proprio l'Italia.
A poco servono le astratte polemiche scritte a proposito della sovranità sul territorio Libero di Trieste e sulle Zone A e B.
Ammettiamo pure che sia non fondata la tesi italiana sulla continuazione della sovranità, anche se formulata da un internazionalista di fama mondiale, come fu Tomaso Perassi (1).
Le altre tesi — almeno sette — valgono altrettanto. E poco importa che sia vera l'una o siano vere le altre perché il problema centrale è quello del memorandum e non quello della sovranità, anche se le diverse tesi portano a conseguenze giuridiche e pratiche differenti.
Se noi avevamo la sovranità, non è stato certamente il memorandum a confermarcela; se non l'avevamo, non è stato il memorandum giuridicamente capace di darla né a noi né agli jugoslavi.
Per l'Italia il memorandum è provvisorio, per la Jugoslavia è definitivo e purtroppo si sono verificate conseguenze anche spiacevoli per questa diversa interpretazione.
Non è possibile che l'equivoco continui dopo vent'anni; occorre discutere la situazione e rinunciare tacitamente, da ambo le parti, a precostituirsi, attraverso il discorso sulla sovranità, delle «posizioni di forza»; esse si potranno eventualmente riprendere, nel deprecabile caso d'un fallimento nella sistemazione del problema.
Il memorandum è un accordo superato che va ridiscusso, giungendo ad una intesa definitiva per ambedue gli Stati.
Circa il valore giuridico dello strumento, non è stato ricordato che il memorandum d'intesa di Londra non fu firmato da nessuno dei contraenti, ma soltanto siglato, perché non fosse contrario al trattato di pace; si temeva un drastico intervento russo.
Esso fu volutamente equivoco e impreciso nelle parole e nei particolari — contro il nostro espresso desiderio — per accontentare un po' tutti e per giungere rapidamente all'accordo voluto dagli anglo-americani; non ebbe nemmeno la ratifica da parte del Parlamento italiano.
Circa la nostra buona fede sulla provvisorietà, si potrebbero citare decine di dichiarazioni ufficiali che parlano della provvisorietà stessa. Ci si limita, però, a dire che la Jugoslavia era ad essa contrarissima e voleva si parlasse di passaggio di sovranità e non di amministrazione; che Tito, poi, cominciò a cedere e che si irrigidì, di nuovo, per un discorso pronunciato il 2 maggio 1954 da una personalità italiana, da lui negativamente interpretato; che, nell'ultima fase dei negoziati jugo - anglo americani, la provvisorietà fu il principale ostacolo, che essa fu soltanto tacitamente accettata da Tito con l'autorizzazione data a Velebit di siglare il testo, concordato con gli alleati, da sottoporre all'Italia (documento del 31 maggio 1954).
Ad ogni modo, per quel che ci riguarda, il 23 giugno 1954 il ministro degli Esteri Piccioni disse ufficialmente al Senato: «Noi consideriamo che, nella contingenza attuale, una sistemazione provvisoria sia l'unica possibile», e già il 12 giugno l'ambasciatore italiano a Londra aveva ricevuto l'ordine di comunicare ai governi alleati che: «... il governo italiano non potrebbe trattare una soluzione definitiva» ... né ... «riconoscere la validità di dichiarazioni dei governi alleati che implicassero comunque il carattere definitivo dell'accordo».
E si ricordi — per quanto riguarda gli jugoslavi — che, proprio nel giugno 1954, il giornale Borba di Belgrado scrisse un articolo favorevole alla provvisorietà e il 26 maggio 1954 un portavoce del ministero degli Esteri jugoslavo riconobbe che la provvisorietà era conveniente per ambedue i Paesi. Infine — per quanto riguarda gli alleati — il 3 settembre 1954 il rappresentante inglese a Roma affermava a! ministro degli Esteri Piccioni: «E' una soluzione provvisoria e Trieste ritorna all'Italia» e, nello stesso giorno, il rappresentante americano avvertiva che «con le nuove proposte del 15 maggio si è concordato che la sistemazione debba essere effettivamente considerata provvisoria». Che la sovranità sulla Zona B sia giuridicamente italiana o jugoslava o di nessuno — come sulla Zona A — non ha molto rilievo.
E' importante, invece che si esca dall'equivoco del memorandum.
Diego de Castro
La Stampa 28/05/1974 - numero 116, pagina 19.
(1) Tomaso Perassi non fu un "internazionalista": fu un giurista e politico italiano, componente della Costituente. Google Scholar riporta a suo riferimento 229 citazioni (poco più di quante non ne abbia Cammarata). Senza nulla togliere a Tomaso Perassi, non è che la sua tesi (qualunque fosse, visto che in rete non se ne trova traccia) sia permeta di tutta questa autorevolezza che de castro gli attribuisce...