Nel 1954, all'indomani del subentro dell'Italia nell'amministrazione del Territorio Libero di Trieste, Carlo Belihar (vicedirettore responsabile de "Il Corriere di Trieste"), scrisse un editoriale dal sapore profetico:
Le chiavi della città
L'indipendentismo, più che essere un movimento politico è uno stato d'animo, non ci sono armi per combatterlo, se non quelle del benessere.
Pertanto ad evitare sorprese o recriminazioni, riteniamo opportuno avvertire i nuovi amministratori che assumono il potere in nome del Governo italiano che l'avvenire dell'indipendentismo si trova nelle loro mani: se accontenteranno i triestini, se non li affliggeranno con le piaghe di una burocrazia soffocante, d'una fiscalità esosa, d'una dipendenza impacciosa da certi uffici romani, se lasceranno vivere la città ed il porto lungo le sue direttrici di traffico e d'espansione normali, l'indipendentismo si offuscherà e verrà assorbito nei rivoli dei partiti in sede nazionali.
Ma se si verificherà l'opposto, se le condizioni politiche ed economiche peggioreranno di fronte alla già insoddisfacente gestione del Governo Militare Alleato, allora lo spirito d'indipendenza troverà incentivo e concorso nel disagio stesso, nelle stesse ingiustizie che verranno consumate ai danni dei cittadini.
Forse, di tutti i movimenti esistenti in città, quello indipendentista è il più complesso, perché non soggiace agli ordini di nessuno. Si sviluppa e si offusca in ragione diretta al malessere o al benessere dei cittadini.
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