martedì 23 dicembre 2014

Una testimonianza sui fatti del novembre 1953 a Trieste

pagina del diario di Diego de Henriquez,
(quaderno n. 172)
con la sua ricostruzione dei fatti del 5 novembre 1953

Quanto accaduto veramente a Trieste nel novembre del 1953 attende ancora di essere chiarito.
Quanto tramandatoci da una certa agiografia patriottarda sugli "ultimi martiri del Risorgimento" è solo una cortina fumogena di propaganda, tesa a nascondere verità inconfessabili fatte di trame, giochi di servizi segreti, teppisti assoldati come agenti provocatori. E peggio.

Cominciamo da un illuminante intervento, effettuato dall'on. Renzo De Vidovich (all'epoca parlamentare del MSI) in occasione delle dichiarazioni di voto per il trattato di Osimo,On. Renzo De Vidovich:

...Trieste è tornata all'Italia perché il 5 e 6 novembre 1953 noi, gioventù nazionale di Trieste, siamo scesi nelle piazze di Trieste e abbiamo avuto sei morti e centocinquantatrè feriti perché gli "alleati" inglesi e americani ci hanno sparato addosso senza tanti complimenti. Non c' erano comunisti insieme a noi a combattere gli yankees, non c'erano gli uomini di sinistra: eravamo solamente noi. Abbiamo sempre detto che con noi c'erano Italiani di tutti i partiti, anche se poi quando uno moriva o veniva colpito in tasca trovavano la tessera della Giovane Italia, della Goliardia Nazionale e del Movimento Sociale Italiano. Ma noi continuiamo a dire che in piazza c' erano tutti gli Italiani, anche se avevamo la sfortuna di cadere solo noi. Ricordo Pierino Addobbati, dalmata come me, che faceva parte del mio gruppo: era il più giovane e fu il primo che cadde; ricordo Francesco Paglia, segretario della Goliardia Nazionale, segretario della Giunta dell' Intesa studentesca di cui assunsi la responsabilità il 6 novembre 1953, dopo la sua morte. Ricordo Nardino Manzi, facente parte di uno dei gruppi degli attivisti più splendidi del Movimento Sociale Italiano; Erminio Bassa, lavoratore della nascente CISNAL, Saverio Montano, Antonio Zavadil e altri centocinquantatrè feriti. Fummo noi e me ne assumo la responsabilità - l' amico Petronio è presente e me ne può dare atto - che deliberatamente, sapendo che voi ci avreste negato le armi che pure avevate portato a Trieste ed erano dislocate in vari posti, facemmo la sortita contro il governo militare alleato; fummo noi che determinammo con il sangue il ritorno di Trieste all'Italia. E se il 26 ottobre dell' anno successivo vi affrettaste a firmare il memorandum d' intesa, fu perché avevamo dato un anno di tempo e il 26 ottobre era ormai vicino a quel 4 novembre in cui saremmo insorti. Lo dicemmo responsabilmente: io ero così ingenuo che ne feci addirittura un manifesto firmato. Dicemmo chiaramente che i governi italiani non erano all' altezza della situazione - quelli di ieri non erano poi tanto diversi da quelli di oggi - noi saremmo scesi in piazza, avremmo cacciato gli americani e gli inglesi e ci saremo conquistati quella libertà nazionale che era il simbolo e la continuazione del Risorgimento... Chiudo questo mio intervento dicendo quello che già avevamo scritto nel 1954 su un pezzo di Carso murato al confine di Muggia: A Muggia termina la Repubblica Italiana, ma l'Italia continua!.

E' interessante che questo scritto circoli in un sottobosco di siterelli edificanti quali, ad esempio stormfront.org, dove esaltati inneggiano a queste azioni...

Comunque, da questo scritto emergono alcuni dettagli che de' Vidovich ricorda con orgoglio ma che, al contrario, gettano profonde e vergognose ombre sul ruolo dell'Italia.
Si ammette che le vittime erano tutti attivisti di estrema destra, anche se (per propaganda) all'epoca si parlava di "manifestanti italiani senza distinzione di credo politico". Non era vero: i manifestanti erano tutti di destra, e spesso attivisti: un segretario della Goliardia Nazionale, un attivista del MSI, un lavoratore della CISNAL...
  
Si ammette che l'italia aveva introdotto delle armi clandestinamente nel Territorio Libero di Trieste, al fine di equipaggiare un'insurrezione armata, anche se in occasione della rivolta del novembre del 1953 non furono distribuite ai manifestanti (che, comunque, se ne procurarono delle altre).

Si ammette che si trattò di una deliberata azione provocatoria ed armata (una "sortita") contro il GMA.

Si ammette infine che questa ristretta cerchia di facinorosi manifestanti aveva poi posto un vero e proprio ultimatum all'Italia, pretendendo un intervento risolutivo entro un anno: tanto che rivendicano il "merito" del Memorandum di Londra...

mercoledì 5 novembre 2014

I fatti del novembre 1953 a Trieste - una testimonianza



Riportiamo qui una testimonianza del soldato inglese “Larry”: un piccolo tassello, che contribuisce a ricostruire il clima che si viveva a Trieste in quei giorni.

La testimonianza originale è comparsa su un forum, e da qui rimbalzata sulla pagina Facebook "Scampoli di Storia":

Quando sono incominciati i disordini in Piazza Unità, il nostro plotone MMG (mitraglieri), del primo battaglione del “Suffolk Regiment”, era a Basovizza al poligono di tiro impegnato in una esercitazione con le nostre mitragliatrici “Vickers”.
Il nostro ufficiale di plotone, il capitano Fairholme, ha ricevuto l’ordine di montare le nostre mitragliatrici sui blindati e di ritornare in caserma. Mentre eravamo per strada giunse l’ordine di recarsi in Piazza Unità. Quando siamo arrivati i soldati americani avevano già bloccato l’ accesso alla piazza, formando un cordone davanti alla caserma della Polizia della Venezia Giulia. Siamo rimasti li per un po’ di tempo e poi, quando la folla si disperse, siamo ritornati alla nostra caserma in via Rossetti. Solo il giorno dopo abbiamo appreso della avvenuta sparatoria e dei morti. Il giorno seguente la nostra compagnia fu messa in stato di allarme, con posti di guardia attorno gli alberghi e sugli edifici più importanti. Il nostro plotone fu inviato alla caserma della Polizia della Venezia Giulia e disposto a guardia dell’ edificio. Altri plotoni furono inviati ad altri alberghi ed in altri edifici. All’ “Hotel Excelsior”, dove erano alloggiati parecchi dei nostri ufficiali si dispose un numero maggiore di truppe.
Nei primi giorni dei disordini montavamo la guardia con il colpo in canna ed una bandoliera di pallottole di riserva. Poi un alto ufficiale ebbe da obiettare sul fatto e da allora mentre eravamo di guardia eravamo armati di una rivoltella che portavamo visibile in cintura ma senza munizioni. I nostri fucili furono lasciati in un camera vicina. Una sera due ragazze mi sono venute vicino e una di loro gridava, “Help me” (aiutami). Uscito per aiutarle fui accolto da un lancio di pietre lanciatemi dai loro amici. Buon per me che non avevano una buona mira perché io, con i miei due metri di altezza, ero un bersaglio decisamente facile da colpire”.

lunedì 3 novembre 2014

3 novembre 1918 - il "ricongiungimento di Trieste all'Italia" come non l'avete mai visto...

Internet, ed i nuovi mezzi di circolazione delle informazioni, hanno degli effetti rivoluzionari.
Facilitano tra l'altro la diffusione di documenti e testimonianze che, fino ad oggi, erano nascoste in archivi o riservate ad una cerchia ristretta di addetti ai lavori.
Tra l'altro, è venuta alla luce questa interessantissima immagine:



E' una foto aerea di piazza Grande e del Molo San Carlo (che di lì a poco sarebbero diventati, rispettivamente, piazza Unità e Molo Audace), scattata il 3 novembre 1918, poco dopo l'attracco della torpediniera "Audace" (da allora nota a Trieste anche come "maledetta barca").

Una certa agiografia propagandistica e la sapiente diffusione di determinate foto ha contribuito a creare il mito che ad accoglierla ci fossero decine di migliaia di triestini, in un tripudio di tricolori... diffondendo ad esempio immagini di questo tipo:

Dietro alla prima fila di manifestanti, quanti sono i triestini entusiasti che festeggiano il cosiddetto "ricongiungimento" alla madrepatria? Decine di migliaia (come afferma la propaganda), migliaia, centinaia, o decine? Da questa foto non possiamo certo saperlo...

La foro aerea ci avvicina un po' alla realtà: considerato che in quell'occasione sbarcarono 200 carabinieri, la "folla festante" può assommare, complessivamente, a meno di 2000 persone...

Alcuni dati storici assortiti:


  • L'Audace fu la prima nave italiana ad attraccare a Trieste (precisamente, alle ore 16:10), ma faceva parte di una piccola formaziona navale, costituita dai cacciatorpediniere La Masa, Missori e Fabrizi, e dalle torpediniere Climene e Procione
  • Sbarcarono 200 carabinieri ed il generale Carlo Petitti di Roreto (che era a bordo dell’Audace), che proclamò l’annessione della città all’Italia.
  • Si dice che l'ancora che orna il Faro della Vittoria sia della torpediniera Audace. Non è vero: si tratta dell'ancora della R.N. Berenice.
    L'Audace fu affondato nel 1944 al largo dell'isola di Pago, ma il suo relitto fu individuato appena nel 1999. 

martedì 28 ottobre 2014

motivi per cui trieste deve essere grata all'Italia - 6 - la qualità della prevenzione sanitaria



In rete troviamo questo grafico che - chissà perché - non ci sorprende.
Nell'ambito dei paesi OCSE, l'Italia è il fanalino di coda per quanto riguarda la spesa sanitaria dedicata alla PREVENZIONE.
Ed a distaccarci dagli altri paesi non sono poche frazioni di punto, eh! Siamo allo 0,5% , mentre la media OCSE si attesa attorno al 2,5% - 3% ...
L'ennesima prova che l'Italia non si cura della salute dei propri cittadini.
Ma non solo: la fonte di questi dati è incontrovertibile, in quanto arrivano dall'OCSE stessa.
Però, secondo fonte italiana (AGENAS - Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali ), il dato non sarebbe del 0,5% ma addirittura il 4,2% !!!!
(Dovendo scegliere tra OCSE e AGENAS, in termini di affidabilità del'informazione, voi chi scegliete? Io non ho dubbi...)
Quindi, abbiamo anche la prova che l'Italia continua a prendere in giro i propri cittadini, propalando informazioni false ed infondate.

Grazie, Italia!

venerdì 19 settembre 2014

Trieste: il comune inesistente...

Vi offro oggi una breve carrellata nella storia amministrativa del comune di Trieste nell'amministrazione italiana...

Questa storia la troviamo efficacemente ricostruita alla pagina http://www.elesh.it/storiacomuni/storia_comune.asp?istat=032006 ma per comodità ve la riassumo qui:

*********************************************************************
Comune ISTAT "032006 Trieste (Trieste)" - Codice Catastale "L424"  
*********************************************************************
05/01/1921
Annessione LEGGE N. 1778 del 19/12/1920 032006 Trieste (Venezia Giulia)

08/02/1923
Cambio Provincia R.D. N. 53 del 18/01/1923 801 (Venezia-Giulia) >> 032 (Trieste)

16/09/1947
Cede territorio D.L. N. 1430 del 28/11/1947 032006 Trieste (Trieste) =>  STATO ESTERO
: : : IL COMUNE E' ATTUALMENTE ESISTENTE : : :


Ovvero:

  • il 5 gennaio 1921 il Comune di Trieste viene annesso al Regno d'Italia, in base alla Legge n. 1778 19/12/1920
  • l'8 febbraio 1923 viene cambiata la provincia di appartenenza in base al Regio Decreto n. 53 del 18/01/1923
    (nota: si tratta della storica spartizione della cosiddetta "Venezia Giulia" tra le nuove province di Trieste, Gorizia ed Udine)
  • il 16 settembre 1947 viene ceduto ad uno Stato Estero (il Territorio Libero di Trieste) in base al D.L. n. 1430 del 28/11/1947
Dopodiché più nulla... ma il Comune, miracolosamente, è dato come "esistente" in Italia.
La domanda è ovvia, ed altrettanto ovviamente non ha una risposta sensata:

com'è possibile che un comune, ceduto ad uno stato estero il 16 settembre 1947, è oggi miracolosamente riapparso tra i comuni "esistenti" in Italia, senza chenessun atto lo certifichi e documenti?
 A chi dobbiamo questo miracolo? A San Gennaro?

La stessa cosa, potete ad esempio verificarla per il Comune di Monrupino: http://www.elesh.it/storiacomuni/storia_comune.asp?istat=032002
Quindi, non si è trattato di un miracolo isolato...

Peraltro, forse una sua logica perversa tutto questo ce l'ha: abbiamo già visto che la Provincia di trieste in realtà non esiste. A questo punto, è logico che una Provincia fantasma sia costituita da comuni fantasma...

giovedì 4 settembre 2014

Targhe automobilistiche internazionali




Elenco delle targhe automobilistiche internazionali: tra le altre, A (Austria), H (Ungheria), I (Italia), P (Portogallo). E ovviamente anche TS (Trieste).

lunedì 25 agosto 2014

Trieste italiana? Un'esagerazione...


A definire le rivendicazione italiane su Trieste "un'esagerazione" fu l'on. Sidney Sonnino (futuro ministro del regno), che il 20 maggio 1881, sulla "Rassegna settimanale" scriveva:
"Bisogna che sia meta suprema della diplomazia italiana quella di togliere ogni sospetto, anche il più giustificato, che la nostra politica possa in qualche modo riuscire di detrimento a quelle potenze sulla cui amicizia dobbiamo contare; sopra tutto bisogna mettere risolutamente da parte la questione dell'"Italia Irredenta". 
Il possesso di Trieste nelle presenti condizioni dell'Impero è di somma importanza per l'Austria-Ungheria: questa lotterebbe a tutta oltranza prima di rinunciare a quel porto. 
Inoltre Trieste è il porto più conveniente al commercio dell'intera regione tedesca, la sua popolazione è mista come tutte le popolazioni di confine; la rivendicazione di Trieste come di un diritto sarebbe un'esagerazione del principio di nazionalità, senza poi rappresentare nessun interesse reale per la nostra difesa”.

mercoledì 2 luglio 2014

2 luglio> 100 anni fa, a Trieste...

Trieste, 2 luglio 1914 - i funerali di Francesco Ferdinando d`Asburgo e della consorte Sofia


Cento anni fa, il 2 luglio 1914, la salma di Francesco Ferdinando d'Asburgo e della consorte assassinati a Sarajevo, arrivarono a Trieste.
E' pigra abitudine ripetere che da questo scaturì l' "inutile strage" della Prima Guerra Mondiale.
Non fu così.
A parte l' ovvietà che con un semplice attentato non si può produrre una guerra che sconvolge tutto il mondo, gli studi di eminenti storici hanno individuato nella frantumazione dell' Impero Ottomano una delle cause più importanti che portò a due guerre balcaniche prima e al conflitto tra Serbia e Impero Austro-Ungarico poi.
La scintilla che destabilizzò equilibri mondiali è stata individuata nella "guerra di Libia" con cui l' Italia nel 1911 attaccò la Turchia, cui la Libia apparteneva, per ambizioni imperialiste coloniali. Il conflitto si estese anche al mare Egeo dove l' Italia occupò il Dodecanneso greco.
Pure se minore, la guerra Italo-Turca del 1912 fu un importante precursore della prima guerra mondiale, perché contribuì al risveglio del nazionalismo nei  Balcani. (1)
"Osservando la facilità con cui gli italiani avevano sconfitto i disorganizzati turchi ottomani, i membri della Lega Balcanica attaccarono l'Impero prima del termine del conflitto con l'Italia.
Vi furono due "guerre balcaniche" nel 1912 e 1913 e il rafforzamento della Serbia con la sua alleanza con l'Impero Russo fece traballare gli equilibri tra le potenze". 
Nell'Impero absburgico prevalse l'idea di una guerra preventiva rapida e limitata per dissuadere e prevenire un attacco Russo che si prevedeva imminente sul fronte orientale.
Il resto è più noto: non a caso si parla di "polveriera balcanica" e in anni recenti siamo stati spettatori di una guerra feroce.
A Trieste, e non solo qui, paghiamo ancora il pesante costo delle conseguenze di questa guerra.
Alcuni illustri concittadini hanno scritto dei loro contributi al supplemento del Piccolo di sabato 28 sulla "Grande Guerra": Claudio Magris, Paolo Rumiz, Elvio Guagnini, Boris Pahor, Demetrio Volcic, Sergio Canciani, Marina Rossi, Fabio Todero, ed altri.
Sono contributi eccellenti in quel contesto e non ci sono scivolamenti nella retorica patriottarda irredentista che non appartiene alle persone di qualità.
E' come avvenne con le conferenze Laterza al Verdi che, promosse con l'intento di dimostrare l' "italianita`" di Trieste, hanno invece finito per dimostrare il contrario grazie alla competenza e all'onestà intellettuale dei conferenzieri.
Rumiz, in un articolo molto suggestivo, immagina di rivedere di notte a Redipuglia i combattenti, quali fantasmi, e si domanda
"dov'è la mia gente?
Dov'erano i triestini, gli istriani, i goriziani i trentini, i figli delle terre conquistate dall' Italia nella Grande Guerra? Non gli arditi che avevano scelto di scavalcare le linee per combattere con il Tricolore: ma gli altri, cento volte più numerosi, coloro che prima di essere ribatezzati "italianissimi" erano stati i "nemici". I nostri vecchi andati in guerra " fur Kaiser und Vaterland" sotto la bandiera giallo nera".
E sente le voci dei morti italiani di Redipuglia che gli dicono "Vai nei giorni dei morti, vai da chi non ha tomba. VAI DAGLI INNOMINATI, DAI DIMENTICATI DALLA STORIA. solo dopo ritorna da noi".
I nostri morti triestini erano in gran parte arruolati nel K.u.K 97° e tanti erano caduti in Galizia ( Ucraina) intorno a Leopoli.
Morti dimenticati a cui la Trieste "italianissima" non dedica neanche un vicolo malgrado i combattenti triestini nell'esercito austroungarico fossero stati circa 45.000 contro i circa 380 disertori passati all'Italia per motivi di irredentismo. Condannati dagli arroganti conquistatori alla "damnatio memoriae"
Trieste è piena di strade e piazze intitolate a irredentisti italiani, spesso solo "teste calde" quando non proprio fascisti conclamati o razzisti antislavi paranazisti come Timeus che nel '14 scriveva "«la lotta è una fatalità che non può avere il suo compimento se non nella sparizione completa di una delle due razze che si combattono».
O quell'Imbriani napolo-torinese che, capo degli irredentisti, era pagato dai servizi francesi per evitare rivendicazioni sulla Savoia e Nizza (patria di Garibaldi) ben più italiane di Trieste, e indirizzarle sulla nostra disgraziata città.
Tanto che fu lui in un incontro, di pochi giorni precedente, a spedire quel povero giovane confuso di Oberdank a fare un attentato per sabotare l' inizio della Triplice Alleanza tra Italia, Austria e Germania che tanto fastidio dava ai francesi. (2).
Claudio Magris scrive, riferendosi ai fanti usati come carne da cannone
 "sono questi uomini i protagonisti della guerra, vittime ed eroi oscuri, non certo i marescialli che li mandavano a morire senza nemmeno conoscere la cosiddetta arte della guerra, come CADORNA, AL QUALE E' PIUTTOSTO INOPPORTUNO CHE SIA DEDICATA UNA VIA DI TRIESTE". 
Come non essere d' accordo?
Cadorna, un macellaio, odiato dai suoi stessi soldati, che fece travolgere senza scampo i suoi fanti a Caporetto dando poi a loro la colpa anzichè a sè stesso e all'incapacità del suo comando.
Al punto che quando gli italiani occuparono Trieste in seguito agli accordi di pace (perchè a Trieste NON riuscirono mai ad entrare militarmente, bloccati all'Hermada) e vi trovarono decine di migliaia di connazionali fatti prigionieri a Caporetto e poi liberati, invece di assisterli LI RINCHIUSERO NEL RECINTO DELL'ATTUALE PORTO VECCHIO DOVE CIRCA 3.000 MORIRONO DI FAME E STENTI.
Il gen. Petitti di Roreto, altro grande cialtrone a cui è stata dedicata una via di Trieste, li fece sorvegliare da un reparto di Arditi e così annota riguardo a un suo "amorevole" discorso ai connazionali ex-prigionieri italiani di Caporetto: "dissi che sarei stato severissimo nel reprimere qualsiasi tentativo di ribellione, anche se avessi dovuto impiegare le mitragliatrici". Osserva lo storico triestino Raoul Pupo: "Come bentornato della Madrepatria ai reduci dagli stenti della prigionia in mano nemica, non era davvero male" (3).
In epoca fascista fu costruito, con arrogante architettura imperiale, l'immenso cimitero di Redipuglia con l'intento di farne, sulla pelle dei poveri morti sfruttati un' altra volta, un luogo di culto pagano nazionalista e bellicista italiano, ornato da proietti di cannone, frasi retoriche come "presente!" e non da fiori: fu definito inusualmente "sacrario" per questo.
Senza alcuna umana pietà da questo cimitero furono esclusi i morti di nazionalità non italiana i cui resti furono lasciati alla pietà degli abitanti o delle nazioni di provenienza.
Non credo che Papa Francesco sappia tutto questo e temo che non ne sarà informato prima della sua visita a Redipuglia il 13 settembre prossimo: è' un uomo buono e saggio e viene per pregare per TUTTI i morti di quella tragedia e perchè non si ripeta.
Per questo io spero venga anche a Trieste per pregare insieme, ciascuno il suo Dio, per la pace tra gli uomini di buona volontà di tutte le nazionalità, religioni e opinioni.
E' troppo chiedere alla Chiesa di Trieste di farsi interprete presso il Santo Padre dell' auspicio che vada, si, a Redipuglia ma oltrepassi anche simbolicamente i confini di allora e venga anche da noi?
Sarà accolto entusiasticamente da tutta la città.
E spero anche che questo 2014 finisca con almeno una strada, importante, dedicata collettivamente ai nostri morti combattendo nell'esercito austroungarico.
Non chiedo nemmeno che siano tolti i nomi delle decine di personaggi indegni, ma una strada ai nostri caduti SI, e fermamente.
Alla pulizia dei nomi delle strade ci penseranno i triestini tra non molto, magari ricordando anche il nostro grande comico popolare Cecchelin, grande interprete della triestinità e spirito libero che sotto il fascismo finiva regolarmente in galera per i suoi spettacoli di satira autentica e rischiosa, non strapagata e facile come ora, e cui recentemente il comune ha negato una strada o il ponte sul canale, dando prova di penoso opportunismo.

1 - Due recenti libri di importanti studiosi uno di area di destra e uno di sinistra dimostrano questa tesi: Franco Cardini " La Scintilla", Mondadori 2014 - Luciano Canfora "1914", Sellerio 2014
2 - Alexander, "L'AFFARE OBERDANK mito e realtà di un martire irredentista" Formichiere 1978
3 - Raoul Pupo "La vittoria senza pace" Laterza 2014

Fonte: https://www.facebook.com/francesco.giuseppe.9275/posts/1506294709600667

domenica 22 giugno 2014

No volemo più un talian!

E' celebre la canzonetta filo-italiana il cui ritornello faceva "Nella patria de Rossetti no se parla che italian!"
Abbiamo già visto che, in realtà, il povero conte Domenico Rossetti de Scander non si poteva propriamente definire un irredentista (e, anzi, questo ritornello probabilmente lo avrà fatto rivoltare vorticosamente nella tomba...)
Meno noto è che di questa canzonetta esisteva anche una contro-versione patriottica 8e quindi, secondo la neolingua attualmente in vigore, "austriacante").
Ve la ripropongo qui, per puro dovere di cronaca storica:

No volemo più un talian! 
D'ora avanti no volemo
No volemo la camora!
Che la vadi in sua malora,
La se vada a far... picar!
 
Noi triestini no volemo
Quei schifosi camoristi,
Traditori no volemo
Sporcacioni iredentisti!
 
Lassè pur che i canti e i subii
Sti iredenti maledeti,
Nella patria de Rossetti
No volemo più un talian!
 
Più no i devi ai fioi a scola
Impararghe italianade:
Quelle stupide monade
Per le "pigne" pol servir!
 
I triestini e la bandiera
Giala e nera i alzarà
I triestini in pase e in guera
Sempre quela i tegnarà!
 
Lassè pur che i canti e i subii
Sti iredenti maledeti,
Nella patria de Rossetti
No volemo più un talian!

giovedì 8 maggio 2014

E decidersi?

Ieri, un giudice italiano ha sentenziato che l'Italia, con il trattato di Osimo, nel 1975 avrebbe riacquistato la piena sovranità sulla zona A del Territorio Libero di Trieste (e, contemporaneamente, la Jugoslavia avrebbe acquistato la sovranità sulla zona B)

Ebbene, i suoi colleghi della Corte di Cassazione, sezione lavoro, nel 1978 non erano della stessa opinione, visto che ribadiscono la "provvisoria" sovranità Jugoslava sulla zona B...

La coerenza non è una dote che abbondi fra i magistrati italiani.

mercoledì 7 maggio 2014

italiano ante litteram

Bellissimo.

Io, nato nel 1965, ho oggi scoperto che sono italiano grazie ad un pseudo-trattato firmato dieci anni dopo la mia nascita.

Infatti un giudice italiano ha stabilito che:

  • col Memorandum di Londra del 1954 l'Italia non ha ottenuto la sovranità sul Territorio Libero di Trieste, ma solo la mera amministrazione civile
  • la sovranità invece sarebbe stata ristabilita dal Trattato di Osimo nel 1975
Ed a questo punto, la domanda sorge spontanea: ammesso e non concesso che il Trattato di Osimo abbia effettivamente donato all'Italia la sovranità sul territorio Libero di Trieste... dal 1964 al 1975 qui a trieste cos'era? Che cittadinanza hanno tutti i nati a Trieste dal 1954 al 1975 (me compreso) ?



Oggi, per l’ultima volta, i cittadini del Territorio Libero di Trieste hanno presidiato il tribunale del loro Stato, occupato con la forza dalle autorità giudiziarie italiane.
Il giudice Piero Leanza si è espresso sull’eccezione del difetto di giurisdizione confermando la propria decisione del 19 marzo 2014.
Ha correttamente affermato che la sovranità italiana su Trieste era venuta meno il 10 febbraio 1947, con il Trattato di Pace di Parigi, mentre il Memorandum di Londra del 1954 ha affidato al governo italiano la sola amministrazione civile provvisoria.
Tuttavia, ancora una volta, i triestini hanno sentito la falsa affermazione secondo cui il Trattato di Osimo avrebbe restituito la loro terra allo stato italiano.
Per l’ultima volta: questo perché ormai è evidente che le autorità italiane non abbiano la minima intenzione di ripristinare la legalità che, per 60 anni, hanno violato nel Territorio Libero di Trieste, compito che, da adesso, spetterà alle sole autorità internazionali.
Da adesso, infatti, i cittadini di Trieste che si riconoscono nella legalità e vogliono far valere il Trattato di Pace di Parigi, solleveranno sempre il difetto di giurisdizione, segnalandolo immediatamente alle autorità internazionali competenti, a partire dalle Nazioni Unite.
Tutti i responsabili delle violazioni del Trattato di Pace fin qui commesse saranno oggetto di denuncia alle Nazioni Unite con richiesta di istituzione del tribunale atto a giudicarli.
Da adesso, le energie del Movimento Trieste Libera si concentreranno unicamente sulle cause internazionali e, soprattutto, sul prossimo 15 settembre quando, celebrando l’anniversario della loro indipendenza, i triestini si prepareranno ad acclamare il loro nuovo, legittimo governo.

martedì 1 aprile 2014

Lo zombie della provincia di Trieste

Oggi si parla tanto (concludendo poco) di abolire quegli inutili carrozzoni che sono le provincie.
Così accade che le (poche) persone che frequentano il parlamento e che posseggano ancora l'uso dei propri neuroni, finalmente si accorgono che la provincia di Trieste, rispetto alle altre provincie italiane, ha qualche problemino in più.
A cominciare dal fatto che NON ESISTE, visto che è stata abolita nel 1947 in conseguenza del Trattato di Pace (il territorio della provincia di Trieste andò infatti a costituire la cosiddetta "zona A" del territorio Libero di Trieste).
Nel 1954, allorché all'Italia fu purtroppo affidata la mera amministrazione civile della Zona A del Territorio Libero di Trieste, questa in realtà ne approfittò per ricostituire (in maniera surrettizia, e senza nessun atto costitutivo ufficiale) la ormai defunta provincia di Trieste (che, successivamente, fu incorporata nel 1963 nella neocostituita "regione autonoma Friuli-Venezia Giulia")

Quindi, oggi c'è un ente territoriale, che si definisce "provincia di Trieste", che paga lauti emolumenti a chi ne occupa le inutili poltrone, ma che NON ESISTE, visto che non è mai stata ufficialmente ricostituita! Si tratta di uno zombie istituzionale, dell'ennesimo paradosso amministrativo dovuto  solo al fatto che l'Italia con il Territorio Libero di Trieste ha fatto un gioco delle tre carte, barando spudoratamente e varando nel tempo leggi e leggine che, in contraddizione una con l'altra, ha cercato di tamponare e tenere in piedi una situazione insostenibile, in quanto comunque basata sul mancato rispetto dei propri obblighi internazionali.

In questi giorni, il problema è stato sollevato nelle sedi istituzionali dal deputato Aris Prodani (una delle pochissime persone che siedono in Parlamento e che meriti pienamente il titolo di "onorevole"); e, incredibilmente, questo fatto ha avuto eco perfino sulla "stampa locale":

Vedremo cosa riusciranno ad inventarsi questa volta: ricorreranno ad una delle tante favolette che ciclicamente cercano di propinarci da 60 anni (come ad esempio la "tesi Cammarata"), oppure se ne inventeranno qualcuna nuova?

mercoledì 26 marzo 2014

A Trieste, la democrazia è un optional


Si ha sempre più l'impressione che a Trieste "democrazia" sia un concetto vago ed interpretabile in varia maniera, a seconda delle circostanze. "Due pesi e due misure", insomma.
E lo stesso vale anche per il concetto "rispetto della legge".

Ma questo non è certamente un male recente, eh!

Andiamo ad esaminare un attimo questi documenti parlamentari del 1958: e facciamolo ricordando che l'Italia aveva acquisito da soli quattro anni l'amministrazione civile provvisoria del Territorio di Trieste...



Atti Parlamentari della Camera dei Deputati
III Legislatura, seduta del 31 ottobre 1958
Interrogazione 
VIDALI: al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro dell'Interno
per conoscere se sono informati sulla proibizione fatta, con ordinanza del commissario generale del Governo, dottor Palamara, di un comizio elettorale in piazza dell'Unità d'Italia, nel corso del quale doveva prendere la parola, con il senatore Scocimarro, un oratore sloveno.
L'interrogante rileva la gravità di questo provvedimento, che contravviene ai dettati costituzionali, in quanto concerne il diritto della minoranza di lingua slovena di fare uso della loro lingua, come pure contrasta con gli impegni presi dal Governo italiano col Memorandum di Londra del 5 ottobre 1954. Il provvedimento rappresenta pure una inammissibile limitazione ai diritti democratici dei partiti politici nella campagna elettorale.
E' la seconda volta che il commissario generale del Governo emette ordinanza a questo proposito, dimostrando di subire la pressione delle forze politiche di destra, di elementi sciovinisti, ai quali egli attribuisce ingiustificatamente la rappresentanza della "maggioranza della cittadinanza"; tale suo atteggiamento oltre a non avere precedenti nella storia del dopoguerra triestino, non ha, fortunatamente, alcun precedente neppure in altre regioni italiane a composizione nazionale mista, ove le minoranze esercitano liberamente i loro diritti nazionali.
L'interrogazione rinnova pertanto la sua richiesta al Governo, affinché il commissario generale sia invitato a desistere da atteggiamenti antidemocratici e faziosi in senso antislavo, e ad adempiere al suo dovere di garantire pari diritti a tutti i cittadini di Trieste, indipendentemente dalla loro nazionalità. 
RISPOSTA: il provvedimento di divieto per lo svolgimento del comizio in lingua slovena nella piazza Unità d'Italia in Trieste venne addottato ai sensi dell'articolo 2 della legge di pubblica sicurezza del commissario generale del Governo, per motivi di grave necessità pubblica, in quanto il comizio stesso avrebbe dato luogo a vivaci reazioni da parte della popolazione italiana per la quale quella piazza, teatro delle principali manifestazioni patriottiche, è il simbolo della italianità di Trieste.
Il comizio, comunque, si svolse regolarmente nello stesso giorno in altra località della città.

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domenica 23 febbraio 2014

Trieste, città fra due mondi

Riportiamo la traduzione di un breve estratto di un interessante articolo tratto da New International, Vol.12 No.10 (Dicembre 1946, pp.293-295) (e, per chi si cimenti con l'inglese, segue il testo originale integrale)

Trieste unisce due caratteristiche che le hanno reso un ambito posto nella politica dell'Europa centrale per quasi un secolo . La prima caratteristica è che possiede un porto eccellente e le strutture portuali sviluppate. Questo di per sé , non la distingue da una ventina di altre città portuali del Mediterraneo. E' solo in combinazione alla seconda caratteristica che il porto di Trieste possiede uno stato eccezionale.
Queste caratteristiche combinate rendono Trieste il naturale sbocco al commercio mondiale per una sezione importante dell'Europa centrale e meridionale , in particolare per l'Austria, Ungheria e Jugoslavia.
Lo sviluppo di Trieste in un "porto del mondo" risale al periodo austro - ungarico, fino alla fine della prima guerra mondiale, quando un colpo di stato italiano stabilì il suo destino.
La sua importanza trascendente oggi deriva dal fatto che essa è il luogo naturale per il mondo russo, per aprirvi una nuova " finestra sul mare." Trieste ha una enorme importanza economica e navale per il mondo russo. In un certo senso prende il posto del vecchio sogno zarista di Costantinopoli. Che le ambizioni russe dovrebbero centrarsi sull'Adriatico piuttosto che sui Dardanelli è di per sé una misura dello stato mutato della Russia come potenza mondiale.
Come Costantinopoli, Trieste ha un solo lato negativo: per le potenze occidentali, riveste una funzione anti russa.
L' importanza di mantenere Trieste fuori dalle mani russe e la Russia fuori dall'Adriatico [...] ( Le coste montuose jugoslave e albanesi sulla costa adriatica non offrono buoni porti e connessioni.) Trieste rimane l' ultima possibilità per la Russia.
Se l'imperialismo anglo-americano riesce a tenere Trieste fuori dalle mani russe, avrà contenuta la Russia nella sua sfera essenzialmente priva di litorale, nonostante i suoi enormi guadagni territoriali.
Tutti i fattori, quindi , sembrano aver concorso a rendere Trieste una questione fondamentale nel determinare il futuro dell'Europa centrale e meridionale . Ogni forma di minaccia militare, di pressione politica e diplomatica è stata portata a concentrarsi su questo punto.
Forse un quarto di milione di abitanti della città di Trieste e dei suoi immediati dintorni , che compongono la provincia della Venezia - Giulia, dovrebbero avere una voce nel determinare quale tipo di governo desiderano.
Non il Cremlino, né il Dipartimento di Stato a Washington , ma la gente del territorio (di Trieste) conteso deve decidere il suo destino. La prima domanda deve quindi essere per un plebiscito con cui le persone possano determinare il proprio futuro.

Trieste – City Between Two Worlds

As the Council of Ministers met at London’s Lancaster House over a year ago in their first session on the post-war treaties, the disposition of the city of Trieste was one of the stalemated questions which deadlocked the conference. Since then the Ministers have moved their sessions to the Luxemburg Palace in Paris and, now, to the Waldorf-Astoria Hotel in New York City. However, neither time nor change in locale seems to have reduced the importance of Trieste on the Ministers’ agenda. Quite the contrary, the continued stalemate has elevated the question of Trieste to what appears to be a fantastically disproportionate importance. What is there about this port city on the headwaters of the Adriatic that invests such crucial importance to its control? An investigation reveals that more is involved than Molotov’s intransigeance, Bevin’s belligerence or Byrnes’s addiction to American prestige; that the importance which the question has assumed is rooted in reality rather than the diversionary maneuvers of diplomacy.
Trieste combines two features which have made it a coveted spot in Central European politics for nearly a century. The first feature is that it possesses an excellent harbor and developed port facilities. This, by itself, does not distinguish it from a score of other Mediterranean port cities. It is only in combination with the second feature that its harbor gives Trieste an exceptional status. The second feature is its strategic location on the finger-tips of the long arm of the Adriatic which reaches up into the southern region of Central Europe. These combined features make Trieste the natural outlet to world commerce for an important section of Southern and Central Europe, especially Austria, Hungary and Yugoslavia. This important fact was discovered over a century ago by the land-locked Austro-Hungarian Empire when its capitalist development made it acutely aware of the need for an outlet to the sea and a naval base for a Mediterranean fleet. The development of Trieste into a world port dates from this period.
Were the issue of Trieste confined to whether it should provide Yugoslavia with a direct outlet or whether Italy should hold it as a key to the European hinterland served by the port, it would not transcend in importance the place it occupied at the close of World War I when an Italian coup settled its fate. Its transcendent importance today arises from the fact that it is the natural spot for the Russian world to open a new “window to the sea.” Trieste has a tremendous economic and naval importance to the Russian world. In a sense it takes the place of the old Czarist dream of Constantinople. That Russian ambitions should center on the Adriatic rather than on the Dardanelles is by itself a measurement of Russia’s changed status as a world power today as compared to the pre-World War I period.

The Anti-Russian Strategy
Like Constantinople, Trieste has only a negative – that is, an anti-Russian – importance to the Western powers. The importance of keeping the decadent Ottoman Empire astride the Dardanelles lay in holding Russia bottled up in the Black Sea. The importance of keeping Trieste out of Russian hands today lies in keeping Russia out of the Adriatic. (The mountainous Yugoslavian and Albanian coasts on the Adriatic offer no good harbors and but poor connections with the interior.) Trieste remains the last possible Russian break-through to the sea before the changed power relations set in flux by the war definitely jell. If Anglo-American imperialism succeeds in keeping Trieste out of Russian hands, it will have contained Russia in its essentially land-locked sphere despite its tremendous territorial gains. Petsamo on the open Arctic serves Russia little better than its own Murmansk. Danzig and Stettin are east of the Danish peninusla and, in effect, leave Russia as distant from the Atlantic as its own Leningrad. The bloody British excursion into Greece to “restore order” headed off the Russian push toward Salonika. Compared to other possible outlets, Trieste was not only more strategically located, but it offered greater possibilities of a Russian success.
All factors, therefore, seemed to combine to make Trieste a pivotal question in determining the future of Central and Southern Europe. Every form of military threat, political pressure and diplomatic stratagem was brought to focus upon this spot. Millions of words and tons of papers were expended in the arguments pro and con – none of which dealt with what was really at stake. Yet in the arguments of neither side appeared as much as a suggestion that perhaps the quarter-million inhabitants of the city and its immediate environs, which compose the province of Venezia-Giulia, should have a voice in determining what kind of government they desire. The inhabitants interested the contending imperialist camps only insofar as they furnished material for inspired demonstrations in behalf of one side or the other, demonstrations which invariably ended with riots and bloody heads.
A revolutionary Marxist policy applied to this question must make the desires of the population of the area the starting point. Not the Kremlin nor the State Department in Washington, but the people of the disputed territory must decide its fate. The first demand must therefore be for a plebiscite by which the people can determine their own future. In this, as in all other questions, Marxists remain not only consistent democrats but Marxists reveal themselves to be the only political tendency capable of a consistently democratic policy today.
The demand for a plebiscite, however, only indicates who should decide the question. There still remains the question of how it should be decided: To speak of self-determination for Poland or Indonesia today is to speak of independence for these nations. All we demand is that they be given a chance to decide, for the outcome is a foregone conclusion. In the case of Trieste, more is needed. No one can seriously propose statehood for Venezia-Giulia. Aside from the absence of any historic or economic basis for such a demand, the mere fact that not one per cent of its inhabitants could be rallied behind such a proposal reveals that it is not a serious political solution. Nor has it standing as a propagandist slogan. In the sphere of propaganda the Marxists call for a Socialist Italy and a Socialist Yugoslavia in a Socialist United States of Europe.
The proposed solution of a “Free Territory” under United Nations trusteeship means only one of two things: either continued Anglo-American military government, regardless of how it is enforced, or a temporary “solution” while each side conducts the struggle at only slightly reduced tempo aimed at lining up strength for a final showdown.

For Adherence to Italy
The real choice is, therefore, between adherence to Yugoslavia or to Italy. Remaining consistent democrats, the Marxists favor adherence to Italy. Questions of ethnic majorities are not decisive in this instance. What is decisive is that Yugoslavia is a dictatorship that is rapidly becoming totalitarianized in the complete Russian pattern, while Italy is a bourgeois democracy, wretched and unstable, but a bourgeois democracy nevertheless. In Yugoslavia the new Stalinist hierarchy, with Tito at its head, rules through its own GPU and concentration camps, while in Italy a free labor movement lives and struggles and undergoes experiences which, we hope, will produce a mass revolutionary party adhering to the Fourth International. In Yugoslavia even clerical and conservative non-conformists are silenced, while in Italy even the Trotskyists have a legal party and press.
The Marxists of both Yugoslavia and Italy, opponents of both Italian and Yugoslavian chauvinism and of Russian and Anglo-American imperialism, need make no apologies for such a stand. The workers of Trieste are confronted with a choice between slow poison or the bullet through the head. Unfortunately, there is no realistic third alternative today. It is possible to resist the slow poison of bourgeois democracy and grow strong enough to conquer the poisoners. But to survive the bullet is another matter.
That the national composition of Venezia-Giulia is allegedly Slavic in its majority does not affect this demand. The democratic right to join their co-nationals in Yugoslavia is meaningless when this means placing their necks in the noose of Tito’s police regime. Slavic nationality has not saved the thousands of inmates of Tito’s concentration camps. The appeal for adherence to Italy proceeds not from national or ethnic considerations but solely from the democratic needs of the workers, regardless of nationality. It offers the possibility of enjoying the freedom necessary to organize and struggle.
As with so many other living political questions, the question of Trieste permits no solution compatible with participation in political life for those who still cling to the position that Russia is a workers’ state, regardless of how badly degenerated. Proceeding from the latter concept, it is impossible to favor adherence of Trieste to Italy instead of the Russian outpost and prototype, Yugoslavia. We hesitate to demand that the “workers’ staters” in the Fourth Internationalist movement break their silence on Trieste and give us their answer. The sight of these “Russian experts” prostrate on their backs as they desperately wrestle with the Polish question which we posed to them some months ago precludes such unsportsmanlike conduct on our part. We therefore modestly suggest that they may prefer to call it quits on the Polish question for the time being and make a stab at the Trieste issue. Do you favor solution of the Trieste dispute by plebiscite? If so, how should the workers of Trieste vote?

giovedì 9 gennaio 2014

la coerenza non è una virtù italiana

La questione del PORTO LIBERO DI TRIESTE è probabilmente il punto in cui più evidente è l'incoerenza del castello di carte giuridico/politico costruito dall'Italia nel corso di quasi sessant'anni per inventarsi un'inesistente sovranità su Trieste e sul suo Territorio.

Quindi, su questo argomento più evidenti sono le contraddizioni a cui le varie figure istituzionali coinvolte sono di volta involta costretti dalle circostanze...

Vi riassumiamo di seguito quanto riferibile solo al corso degli ultimi mesi:

18 luglio 2012: in risposta all'interpellanza parlamentare "7-00886 Antonione: Sull'interpretazione dell'allegato VIII al Trattato di pace del 1947 relativo al porto di Trieste. " il sottosegretario Dassù risponde testualmente:
la riduzione o l'eliminazione dei punti franchi potrebbe legittimamente avere luogo solo con il consenso degli altri Stati nei confronti dei quali l'obbligo è stato da ultimo assunto con il Memorandum del 1954 e con l'accordo di cooperazione economica bilaterale siglato nel 1975 con la Jugoslavia (cui è succeduta la Slovenia).

28 febbraio 2013: su Il Piccolo il Prefetto (rectius: Commissario di Governo) di Trieste dichiara:

Non me la sento proprio di emanare un provvedimento che sospenda il regime di Punto franco per un periodo medio-lungo e tantomeno un provvedimento che lo trasferisca anche parzialmente in modo definitivo[...]è necessario cambiare la normativa che regola il regime speciale e che oltretutto parla esplicitamente soltanto di allargamento dell’Area franca, cosa che del resto è già stata fatta negli Anni Cinquanta, o comunque ci vuole un intervento diretto da parte del governo. Già il mio predecessore (Alessandro Giacchetti, ndr.) aveva posto il quesito a Roma, ma Roma non ha mai risposto.[...]Soltanto il governo può spostare il Punto franco

3 gennaio 2014: in un'altra intervista a Il Piccolo, scopriamo che nel frattempo il Prefetto ha nel frattempo cambiato idea:

La Regione o il Comune, oppure la stessa Autorità portuale dovrebbero farsi promotori della Conferenza dei servizi da cui far emergere una volontà comune, poi il Ministero potrebbe essere interpellato a livello consultivo. Se si opterà per l’abolizione del regime di Punto franco che in molte situazioni è effettivamente un ostacolo più che un incentivo, non servirà una legge dello Stato. Dico di più, non sarà nemmeno necessario trovare un’altra area su cui trasferirlo.

Ah, la coerenza!
Ah, la certezza del diritto!!
Ah, la solidità dei propri argomenti!!!!